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CONESTABO ARTGALLERY
Evgen Bavcar è nato in Slovenia, a Lokavec, località a 27 chilometri da Gorizia, nel 1946. All’età di dodici anni, dopo due diversi incidenti, e nonostante una lunga serie di interventi, ha perso completamente la vista; l’ultima immagine carpita è stata la gonna rossa di una ragazza, per questo ama portare sempre una sciarpa di quel colore. Laureato in filosofia a Lubiana, ha poi ottenuto il dottorato alla Sorbona con una tesi sull’estetica in Adorno e Bloch, iniziando a lavorare al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi. Dice di avere tre patrie: la prima è la Slovenia, la terza è la Francia... la seconda è il treno che congiunge i due Paesi. Vive infatti tra Parigi (in un appartamento che definisce «grande come un armadio») e la Slovenia, spostandosi per le sue attività, i seminari e le conferenze. Parla sei lingue: è stato fotografo ufficiale dei Mois de la Photographie parigini e, dalla sua prima mostra del 1987, è uno dei fotografi più richiesti d’Europa. Ha esposto le sue immagini in prestigiose sedi in tutto il mondo: Francia, Slovenia, Italia, Turchia, Ucraina, Stati Uniti, Canada e Messico.
“GLI SGUARDI RESTITUITI” 12 febbraio al 10 marzo 2010
Se vedi solo ciò che la luce rivela e odi solo ciò che il suono annuncia, allora in verità non vedi e non senti.
Khalil Gibran
Fotografare è catturare la luce, imbrigliandola oppure accarezzandola, lasciandola scorrere e depositare attraverso un gioco di aggiunte e sottrazioni, in alchemiche nozze con l’ombra. La stessa ombra che pervade il mondo di Evgen Bav?ar: ma ciò che gli occhi da anni non vedono più, la mente e tutto il suo essere ricordano, con antica saggezza, con struggente nostalgia, con sotterranee correnti che, dirompenti, si affacciano ad esigere risarcimento. Così la Fotografia restituisce ciò che il fato aveva tolto, gettando sul piatto della bilancia il contrappeso della creazione.
Nelle immagini di Bav?ar la luce tesse una trama, a volte sottile, fatta di dense filigrane e simboli arcani, oppure si palesa in rapidi schiocchi che fendono la profondità dei neri. La notte, surreale e fatata, avvolge le composizioni: grande madre dispensatrice di sogni e desideri, foriera anche di inquietudini che, inaspettate, destabilizzano le coordinate spaziali. Nei nudi, solo femminili, perché «gli uomini fanno la guerra, gli uomini mi hanno fatto male», la luce sfiora i corpi, in un perenne atto d’amore, con lo sfarfallio di mille mani; in altri ritratti si stende morbida a proteggere i volti di chi si dona allo sguardo interiore del fotografo.
Sono opere intrise di emozioni, ma anche cariche di quella sapienza compositiva e tecnica che sfidano l’erronea logica e l’ingenua presunzione di chi vede, spesso senza guardare. Così le domande sulla ripresa e sulla stampa hanno un’impellenza che rischia di sovrastare il nucleo essenziale della questione: infatti, per citare Man Ray, in fotografia non è importante il come, ma il perché: l’atto del fotografare è prima di tutto un moto della mente, e in rari casi (e l’arte di Bav?ar rientra tra questi) anche un espirare dell’anima. Nell’autore la fotografia, arricchita dalla profondità della memoria, è la sola capace di riunire i cinque sensi, per conferire spessore ai ricordi e modellare le sensazioni, ricreando il proprio mondo e quindi, in un moto di concentrica propagazione, riplasmare tutto il mondo.
Lorella Klun
sedi espositive: Conestabo Artgallery via della Fonderia, 5 (primo piano) - trieste
VETRINA via Udine, 2/1 – trieste
tel. +39 (0)40 370274 - Mob. +39 3358273449
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